25 ANNI DI NON-ARTE
I SANTINI DEL PRETE
«Fra tante immagini che ci assalgono quotidianamente
proponiamo l'immagine semplice di noi stessi»
L'uomo non-artista, liberatosi dalla professione di artista,
può esprimersi dilettevolmente con ironia e tragedia,
passionalità e leggerezza, con amore e odio,
manualità e tecnologia, finalmente svincolatosi
nell'esercitare e manifestare la propria peculiare creatività
dalle leggi dell'economia, finanza, politica, marketing, spettacolo
che dominano ed appiattiscono l'arte contemporanea
Manifesto de I Santini Del Prete
Laura Monaldi
«La non-Arte è l'ultima avanguardia del XXI secolo», così I Santini Del Prete amano storicizzarsi, seguendo un corpus autorevole di modelli a cui far riferimento, rinnovandosi costantemente di opera in opera e di performance in performance, convinti di portare avanti una missione unica e inedita, mostrandosi nella negazione di sé - «non siamo artisti siamo ferrovieri» - parte di un Tutto estetico in continuo sviluppo, affermando «a piena voce, che la creatività è una necessità biologica e un diritto inalienabile di ogni essere senziente». I Santini Del Prete sono un duo strano e innovativo: ironici pensatori invadono da venticinque anni gli spazi espositivi nazionali con azioni sempre diverse da sé e tuttavia aderenti a una linea pratica e teorica che li lega e li unisce incondizionatamente. Correva l'anno 1992 … e da quel momento in poi, dal sodalizio fatalistico ma puramente casuale Franco Santini/Raimondo Del Prete, ebbe origine un work in progress di opere, eventi e azioni, analizzabili come stazioni temporanee di un viaggio senza fine, volto a indagare la natura utopica e effimera della non-Arte, in quanto «perla rarissima» capace di immaginare una «umanità creativa, molteplice e solidale», dove Vita e Arte possano coesistere e dove l'uomo stesso possa essere considerato un'opera d'arte vivente e vitale nella propria esistenza d'artista. Per I Santini Del Prete creare significa di fatto rendersi consapevoli e partecipi dell’idea che l’Arte è ma può anche non-essere-Arte, poiché «artisti si nasce e non-artisti si diventa», coscienti di entrare a far parte di un meccanismo di riflessioni e creatività senza fine né limiti. Franco Santini e Raimondo Del Prete sono due non-ferrovieri e due non-artisti, ma al contempo sono esattamente sia ferrovieri che artisti: sono le due facce della stessa medaglia e la loro non-arte altro non è che l’affermazione di un desiderio comunicativo ed espressivo unico: eccentrici performer si muovono fra gli sterminati orizzonti dello strumento creativo e performativo per far sorridere, pensare e innescare nello spettatore l’istinto alla partecipazione collettiva e alla simbiosi globale con l'universo estetico.
Quella de I Santini Del Prete non può essere catalogata né come una poetica né come una teoria estetica, ma tutt'al più come una vera e propria filosofia di vita e d'agire. Non a caso nel 1998 Giovanni Pelosini ebbe modo di affermare che «la prima volta che osservi I Santini Del Prete sei spiazzato, il tuo treno dei pensieri deraglia prima che tu te ne renda conto, mentre sei ancora convinto di continuare tranquillo verso la consueta destinazione cui conducono i paralleli e rassicuranti binari della geometria euclidea». La visione dei due ferrovieri in divisa disorienta e annichilisce a causa della semplicità e della leggerezza con cui si muovono nel campo dell'Arte, come estranei appartenenti solo a sé eppur così familiari in quanto profondi conoscitori degli universi artistici del Novecento. Tuttavia, non solo il minimalismo della loro appariscente presenza diviene causa dello spaesamento, quanto l'arguta ironia che sottende ogni loro azione nel vasto campo delle dinamiche e dei linguaggi estetici.
Nipoti di Duchamp, figli di Beuys, colleghi di Baj, mailartisti di nascita e adepti di Cavellini le loro opere giocano con l'identità propria e attuale dell'artista e dell'arte contemporanea in sé: in un momento storico in cui tutto può essere Arte e l'opera sfugge alla sistematicità della storia e della teoria, la coppia emerge dal concetto di non-Arte per immergersi in un più complesso concetto estetico, quello dell' "effimero" che avvolge molte delle dizioni critiche contestualizzate fino ad oggi, e identificarsi in una creatività universale e universalizzante, ciò che loro stessi definiscono una «Creatività Diffusa», comune a tutti gli uomini come la spiritualità.
Se da una parte l'Arte viene concepita come un archetipo antropologico, dall'altra la missione dell'artista nella sua negazione è distruggere le vecchie strutture per crearne altre e l' human ready made ne è l'esempio più concreto: «l'oggetto d'arte siamo noi», l'oggetto d'arte è l'uomo che non si fa artista ma si fa Arte nella sua totalità, sia come creatore e ideatore che come strumento del fare artistico. Solo in questo modo Vita e Arte possono divenire un connubio indissolubile e capace di reinventarsi continuamente, grazie alle relazioni, alle infinite possibilità e alle soluzioni impossibili attraverso cui il pensiero umano si manifesta in ogni sua e propria accezione estetica. In tal modo nascono i collage, le performance e le elaborazioni grafiche in digitale, tutte frutto di un'auto-ironia senza confini che guarda al futuro e alla diffusione di quell'artisticità di cui sono instancabili investigatori.
È nell'autoaffermazione delle loro dichiarazioni che si esplica il gioco e il divertissement dei due non-ferrovieri e non-artisti: un ludus che li conduce a interagire con il mondo artistico, con gli spettatori e con gli attori privilegiati di tale sistema, stimolando la creatività attraverso relazioni e interazioni sempre più strette e solide e sempre più mediatrici fra due mondi apparentemente inconciliabili come l'Arte e la Vita: «il mettere sullo stesso piano artisti e non-artisti, persone comuni e personaggi noti è implicito nel nostro ruolo che ci vede installati esattamente sull'uscio, sulla soglia tra il sistema chiuso dell'arte contemporanea, che ci interessa e ci attira, e tutto ciò che sta fuori per esclusione o semplicemente per non interesse. Ci piace immaginarci quali traghettatori di persone tra questi due mondi». In tal senso gli happerform de I Santini Del Prete uniscono la Vita all’Arte, la quotidianità all’oggetto artistico, l’innocenza della sperimentazione all’espressione estetica, attraverso cui il pubblico può riconoscersi e può essere incoraggiato a sentirsi partecipe nel grande progresso evolutivo dell’immaginazione e della creatività.
Perennemente (tra)vestiti da ferrovieri - la vecchia divisa color carta da zucchero che gioca un ruolo ironico nel binomio identità/divergenza, simbolo della consacrazione alla vita artistica avvenuta per la prima volta nel 1996 al Trevi Flash Art Museum, durante una performance in cui la "vestizione" si fece protagonista - riscoprono il piacere di sentire, sotto ai loro piedi scalzi - in segno di rispetto di fronte alla sacralità dell'Arte - l'energia della de-semantizzazione, consapevoli che le azioni da loro proposte appartengono alla sfera catartica e purificatoria del teatro. Snaturare, alienare, decontestualizzare e decostruire sono solo alcune delle retoriche utilizzate da I Santini Del Prete per travolgere le ideologie precostituite del pubblico con tutta la loro imperante ironia. Un vecchio detto, un personaggio, un orario ferroviario, una situazione, una data, qualsiasi oggetto quotidiano diviene metafora del loro pensiero e della loro filosofia per poi concretizzarsi in sceneggiature e atti, sapientemente costruiti e ideati, in quanto sintesi di un personalissimo credo: «Multiplicité Creativité Solidarieté"» di fatto, come scrisse Paolo Bottari, «il loro orizzonte è l’affermazione erga omnes della validità dello strumento creativo quale motore utile per una superiore qualità di vita, in senso tanto culturale quanto umano».
La non-Arte è fatta di tutto e di tutti: provocante e non mistificatoria accoglie l’ironia come motore portante di una locomotiva senza meta, le cui fermate non sono altro che stazioni nuove da scoprire e far conoscere, dilatando la normale percezione della performance con una multidisciplinarietà inedita e originale, priva di stereotipi, in quanto metafora della vita e della semplicità. Di fronte a ciò la goliardia e l'autocelebrazione passano in secondo piano, rispetto al fine ultimo e al viaggio che I Santini Del Prete percorrono di anno in anno, di luogo in luogo e di amicizia in amicizia: i rimandi visivi, i correlativi, gli ossimori, le litoti e le allusioni contenute nelle loro opere e nelle loro performance non sono altro che strumenti tesi ad abbattere le barriere che intercorrono fra i circuiti chiusi e viziosi della contemporaneità e alla scoperta dell'artisticità che si cela dietro ogni angolo dell'esistenza. Con I Santini Del Prete è la Vita che entra nell'Arte e non viceversa, in una compenetrazione giocosa e gioiosa che inverte i rapporti canonici e il normale sentire estetico a partire dall'antitesi che venticinque anni fa ha dato vita a uno sposalizio d'eccezione: una tappa che la Storia dell'Arte attendeva e che difficilmente potrà dimenticare.
Passando da un contesto a un altro, mutando linguaggi e materiali artistici, I Santini Del Prete hanno avuto il privilegio di smuovere l’arte contemporanea dal proprio grado zero, ri-partendo dalla semplicità e dall’innocenza, in nome di una concezione autentica dell’opera d’arte e della sua funzione nel mondo. Il loro binario procede di pari passo alle occasioni che si presentano di volta in volta e il capolinea è ancora ben lontano.